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venerdì 25 novembre 2011

Avvento di speranza

Mi auguro che questo post sia il primo di molti. Avendo un po' di tempo e un po' di lucidità so di potercela fare. Periodicamente mi capita di ascoltare bei seminari tenuti da Vescovi e sacerdoti di ogni congregazione e parte d'Italia, e mi farebbe piacere condividere la serenità che determinate riflessioni mi trasmettono. Sono una di quelle persone che cerca di capire, professare e vivere la propria religione appieno, spronata anche dall'invito del Papa ad osservare i Segni dei Tempi (ma di questo magari parlerò un'altra volta). Oltretutto ritengo di non essere cieca alle infinite correnti spirituali del mondo moderno, per curiosità personale e per esperienza diretta, in molti casi. Mi piacerebbe rivolgermi, quindi, con le mie riflessioni, a tutte le persone, cristiani e non, per un percorso un filo più profondo di tutto quello che si ascolta alla televisione e di tutto quello che - singolarmente - ogni credo professa.

Oggi voglio parlare dell'Avvento. Non so quanto i lettori non cristiani ne sappiano, ma riassumendo per tutti, l'Avvento è l'inizio dell'Anno Liturgico Cattolico, il periodo che precede il Natale. Usualmente in Avvento si parla dell'attesa della nascita di Gesù Cristo, e si racconta la storia della Vergine Maria, quella del Battista... insomma, si parla della vera preparazione alla venuta del Figlio di Dio.
Nella pratica, l'Avvento è un tempo d'attesa, ma non un tempo d'attesa sterile. 
Dice il Signore: "Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati."
Questa veglia, quest'attesa, questa speranza, viene paragonata nel Vangelo di Matteo a una lampada. Una lampada che va accesa, che va esposta, la cui fiamma, seppure tenue, deve splendere per scacciare il buio della notte. Quale notte? La risposta del cristiano è 'quella senza Cristo'. Ma possiamo estendere il discorso. Poichè Cristo è Amore, quello con la lettera capitale, la notte dell'uomo è ogni momento della vita in cui si sperimenta la mancanza d'amore. Odio, risentimento, sconfitta, delusione, sono tutte notti: a volte più lunghe, a volte più corte. Questo concetto, d'altronde, non si può dire sia prettamente cristiano. Anche i lontani fratelli indiani d'america infatti conoscono la "Notte dell'Anima", e anche loro riconoscono che l'amore - e solo quello - può scacciar via le tenebre interiori dell'uomo. "Le religioni sono tutte sorelle", dice il Dalai Lama dall'altra parte del globo (Q.E.D.: come non credergli?).
Ma tornando a questa Speranza: il cristiano attende sperando. Che non è una cosa da poco. Cosa significa, nella vita di tutti i giorni, SPERARE? E' facile dire "La speranza è l'ultima a morire" quando nel cuore si è già amaramente rassegnati alla realtà dei fatti, a ciò che sembra impossibile o inevitabile. Avere speranza, una speranza cristiana, vuol dire essere pronti a costruire, a RIcostruire laddove necessario, vuol dire non abbattersi ed essere pronti a cogliere l'opportunità di cambiare le cose. Sperare non significa attendere con le lacrime agli occhi. Sperare significa soprattutto essere pronti per la festa che verrà.
L'attesa è una condizione che si presenta spesso nella vita quotidiana, che deriva proprio dall'incontro-scontro con le necessità altrui. Ebbene, per far sì che il tempo dell'attesa non preceda uno scontro, per attendere l'INCONTRO che ci attende, dobbiamo attendere sperando. Con la disperazione nel cuore, con il buio, non ci può essere incontro di sorta.
L'Avvento, un po' come la Quaresima, è un tempo che nel calendario liturgico invita ad essere pazienti, invita a riflettere e a fare pulizia nella propria vita, nel proprio cuore e nella propria mente. Qualcuno ha chiesto a Mons. Enrico Dal Covolo se questa attesa si sperimenta nella vita e quanto potrebbe durare. Ovviamente nessuno ha una risposta alla seconda domanda. Quanto alla prima, vi invito a rifletterci attentamente. La cosa sorprendente non è constatare che si, ogni tanto nella nostra vita può capitare, bensì quanto SPESSO ci ritroviamo ad attendere qualcosa o qualcuno. Che attendiamo una cosa bella o brutta, che si speri in un incontro o in uno scontro, quasi tutta la nostra vita si svolge in attesa di qualcosa.
Lo sprone che il Vangelo ci offre in questo periodo è di stare pronti, di stare svegli, di rimanere vigili ma col cuore sereno. Fede, Speranza e Carità non sono lontane tra loro, e non sono nemmeno lontane da noi. Non sono favolette per i bambini e non sono nemmeno 'cose da preti'. Tutti possiamo affrontare certe prove, e perchè non dovremmo farlo con le parole del Vangelo?

Ecco, attraverso poche parole della Bibbia ho cercato di osservare una tematica di tutti i giorni. Sarà l'abitudine, ma io non lo trovo così spaventoso. Non è sempre facile trovare il tempo di ascoltare, ma magari fermarsi due minuti per fare una riflessione di questo tipo può rasserenare un momento difficile.
Non ho sicuramente la pretesa di annunciare delle verità assoluta, ma come si dice: "my two cents"!

sabato 5 novembre 2011

Belle

"Tutto qui... è un bel paesino..."
Così cantava la Bella di Walt Disney, sempre col naso nelle sue belle storie. E così mi sento di canticchiare la mattina lungo Via del Corso, la mia leggendaria via dello shopping e delle passeggiate con le amiche.
Qualche anno fa all'uscita dalla scuola si prendeva il treno verso il centro, si scendeva al capolinea, P.le Flaminio, e si faceva avanti e indietro lungo la bellissima via, fermandocisi per la consueta 'pausa Star Shop,' e spesso continuando la passeggiata leggendo un fumetto, trascinata per la sciarpa a mo' di guinzaglio (facendo bene attenzione ad evitare gli ostacoli). E si diceva, tra noi ragazze di Roma-Nord: "Sai che bello lavorare a Via del Corso? Vieni qui col trenino e torni a casa in venti minuti. E c'è lo Star Shop!!!"
Chi l'avrebbe mai detto che quel sogno sarebbe diventato realtà! E' un po' come ne "Il Diavolo veste Prada". Andare a lavorare la mattina in mezzo a tante commesse che lavorano chi da Zara, chi da Bulgari, chi 'solo' da Valentino. Ma a noi anche Vertecchi sembrava un negozio di classe, all'epoca. Ricordi era un mito, una stella lontana, la fumetteria l'aspirazione più grande.
E invece, a ventitrè anni, quando solo due settimane fa mi lamentavo di non aver lavoro, eccomi qua. Dentro una libreria di moda e arte in cui Enrico Montesano ha presentato il suo ultimo libro. Dentro una libreria che diventa meta abituale di quei commessi in tiro che lavorano le vicinanze. Oggi tre commesse di via Condotti ridacchiavano nella sezione 'Mamme'. Adesso posso vivere l'atmosfera della Roma segreta, che in anticipo rispetto ai tempi degli studenti si sveglia e comincia a lavorare, facendosi bella per le passeggiate altrui.
Gente che parla italiano, inglese, francese, spagnolo e addirittura giapponese, che abita al centro di Roma e che si interessa di moda parigina e di design. Sembra davvero un altro mondo.
E io, cresciuta con il mito della biblioteca comunale, mi ci ritrovo immersa come in un sogno. Mi sembra ieri che mia sorella mi supplicava di giocare con lei invece di leggere, o che mamma mi intimava di chiudere 'Il Giardino Segreto' e di fare i compiti di grammatica. Eppure eccomi qui, aspirante libraia in una libreria storica che aveva la sua sede in Via Cola di Rienzo. E, se tutto va bene, ci rimarrò per un bel pezzo. La parte migliore? Quella in cui posso leggere tutto quello che voglio. Senza rovinare i libri, ovviamente (pfff...).
E' strano. Pensavo che la parte più difficile fossero le operazioni di cassa... oppure la questione dei libri in arrivo. Forse è perchè non faccio ancora tutto io, ma finora mi sembra che una parte difficile non ci sia... se consigliare alle clienti di scegliere il nuovo libro Pop-up del Piccolo Principe era considerata la 'parte difficile'... mi sa che qui dentro potrei passarci il resto della mia vita!
Speriamo bene, cari lettori. Intanto vi invito tutti alla Libreria Gremese, a prendermi in giro perchè finalmente devo truccarmi per andare a lavoro o perchè il nuovo libro di Pratchett non ce l'abbiamo (ma ci lavorerò, promesso)!
Adesso torno al lavoro (dovrò leggere ancora qualche quarta di copertina, ahimè)... 

...a presto!

martedì 1 novembre 2011

This is Halloween

Gli italiani dovrebbero far pace col cervello, non trovate anche voi?
Mi ricordo che quando ero piccina io, le mamme non volevano che si festeggiasse Halloween. In primo luogo perchè non è una festa della tradizione italiana (leggi: cattolica). Secondariamente perchè non riuscivano a trovarci un senso.

In che senso festa dei fantasmi?
Le nostre mamme, infatti, non lo sapevano che dietro Halloween, la Viglia di Ognissanti, c'è una lunga tradizione fatta di misticismo e buoni auspici. In Samhain, l'inizio di Novembre (per questo alla mezzanotte del 31 Ottobre), segnava l'inizio del nuovo anno con l'ingresso dell'inverno. I focolari delle case venivano spenti, le ceneri gettate via, e si accendevano i fuochi del nuovo anno dall'unico, grande falò che veniva consacrato. Nelle case, dunque, entrava nuova luce, che avrebbe protetto la casa durante l'anno a venire.
Perchè i fantasmi? Perchè in questa notte di 'passaggio', il mondo dei vivi e quello dei morti si avvicinavano, assottigliandosi il velo che separa i due mondi. Più facile, quindi, ricordare le persone defunte. Ed eccoci all'origine delle feste cristiane di Ognissanti e la Commemorazione dei Defunti. Durante la notte di Samhain si usava raccontare storie riguardanti le persone defunte, così come i grandi eroi del passato. Con rispetto, ovviamente, perchè passando così vicini ai vivi fossero soddisfatti e non facessero loro del male.
E quindi ecco il perchè della moderna tradizione delle maschere: avete presente la puntata di The Walking Dead in cui i protagonisti - vivi - si camuffano da zombie coprendosi di sangue per non farsi mangiare? Ecco, quello. La stessa cosa. Mimetizzarsi tra i morti per passare inosservati. Ma questa è un'accezione piuttosto recente.
Ecco rivelate le origini di Halloween in breve. E gli italiani cosa fanno ad Halloween?
Anche i più giovani si chiudono dentro qualche discoteca a ballare e ubriacarsi. Ma fermi un attimo. Nella mia mente riesco a trovare più di qualche modo 'divertente' di adottare una tradizione. I dolci (abbondanti, in casa mia), i costumi (che piacciono sempre), intagliare le zucche (cosa che mi diverte da pazzi), spaventare (che è oggettivamente una delle cose più divertenti della faccenda)... e invece la gente la tratta come un'occasione qualsiasi per andare fuori di testa. Assurdo, nel mio modo di vedere la cosa.
Perchè sprecare un'occasione così suggestiva per sentirsi un po' più esotici, stravaganti e colti? Perchè fare di una bella tradizione una scusa per mimetizzare atti di vandalismo dietro le maschere?
Volete la mia? Per me ai bambini dovrebbero spiegare Halloween, tutta la tradizione, e l'Italia dovrebbe abbandonare la tradizione della Masquerade. Santo cielo, travestirsi e fare follie e cose ridicole, ogni tanto, non fa male a nessuno! Sveglia, Italiani c'è tutto un mondo, lì fuori! O più di uno, se vogliamo...