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mercoledì 8 settembre 2010

Tramonto rosso

Scusandomi per l'attesa, vi regalo un Inizio scritto quest'inverno in metro, tratto Circo Massimo-Termini. Buona lettura!

Tramonto rosso

Nel giorno che oggi conosciamo come quello del Tramonto, che precedette la fine della sua eternità, Roma fu bella come mai lo era stata. La morte della città eterna non fu brutale e catastrofica. O spettacolare come quella di molte altre, che si erano spente come può spegnersi un fuoco d’artificio: “col botto”.
No, la fine di Roma fu quella silenziosa e pacifica di un malato terminale. Con due o tre colpi di tosse insanguinata, magari, di cui pochi si accorsero prima che fosse troppo tardi.
Per fare qualcosa, dite?
Oh, no. Certo che no: nessuno avrebbe potuto impedire niente di quello che venne dopo.
Troppo tardi per mettersi salvo, intendevo.
E’ un dato di fatto che le città abbiano una vita e uno spirito. Prendete ad esempio Monasterace, in provincia di Catanzaro. Quest’anno, come ogni anno, il mare se n’è portato via un altro pezzetto. Se la conosceste potreste immaginare il suo spirito come quello di un signore anziano, con la pelle resa coriacea dal sole e dalla fatica, i capelli bianchi, corti, incrostati di salsedine, con una canottiera bianca e zoccoli di legno ai piedi rovinati. Un signore che fa fatica ad andare avanti e che non sa nemmeno cosa sia un cinema. Abbastanza facile da immaginare, no?
Premesso questo, potete immaginare lo sconcerto di chi era in grado di scorgerlo nel vedere lo spirito di una città come Roma, eterna e bellissima, decadere, lottare contro i suoi figli e quindi ammalarsi -forse di delusione- per poi cominciare a morire lentamente. E la disperazione di riconoscere un rantolo di morte, prima della fine. Come vedere quel grumo di sangue sputato sul fazzoletto bianco.
Io lo so. Io c’ero. Io l’ho vista morire, quella bellezza di città. Come sono scampata?
Facile: ero su un treno che mi stava portando via da lì. Sono stata fortunata, in un certo senso. Ma in fondo aver visto morire una cosa così grande, così antica e potente, mi ha segnata per sempre.
Se sto scrivendo queste parole, se sto raccontando tutto questo, è perché non voglio che accada di nuovo, benché comprenda perfettamente che probabilmente sta già succedendo altrove, come una malattia che dilaga, non solo in questo paese maledetto.
Ma i giornali non ne parlano. Come potrebbero farlo? Esiste qualcuno di così folle da scrivere un coccodrillo per la propria città natale, in previsione del suo “spegnersi circondata dall’affetto dei cari, dopo lunga e sofferta malattia”?
No. Certo che no. Quindi eccomi qui a raccontare la sua storia.

2 commenti:

  1. Suggestivo.

    Ma ti prego, dimmi che c'è una rinascita...

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  2. Stefy è da un pò che non ti leggevo...
    Ma è tristissimo,vorrei un continuo che lasci una goccia di speranza in queste giornate già troppo amare.
    En Taro Adun

    RispondiElimina